Riportiamo la storia dell’imprenditore messinese Francesco Salomone raccontata lo scorso 30 ottobre in un bell’articolo di Nuccio Anselmo sulla Gazzetta del Sud: La mia motonave sarà per tutti la nave della “Rete per la legalità Sos Impresa”.
Quella notte dell’incendio Francesco Salamone quasi s’inginocchio disperato davanti alla grande nave, la “Eolo d’Oro”, che bruciava irrimediabilmente davanti ai suoi occhi in un cantiere di Giammoro. Il continuo crepitìo delle fiamme gli spezzava l’anima. Erano i primi di dicembre del 2014, tra poco sarebbe arrivato l’ennesimo Natale tranquillo, ma la mafia barcellonese gli aveva presentato il conto con duecento litri di benzina, perché aveva coraggiosamente detto “no” alle richieste di pizzo. Quella notte la vita sembrava per sempre sospesa, bruciata come le doghe di legno della sua creatura, con cui si guadagnava onestamente da vivere facendo la spola tra Milazzo e le Eolie, per portare in giro i turisti.
E invece il suo coraggio, la sua perseveranza, lo hanno portato oggi a poter dire di aver ripreso in mano l’esistenza. La sua storia è emblematica. Ha denunciato tutto, lo Stato e l’antiracket hanno fatto la loro parte, gli sono stati concessi i finanziamenti di ristoro ed è tornato ad essere imprenditore. A testa alta. E la mafia ha perso ancora una volta. Raccontare la storia attraverso le sue parole è fondamentale per dare coraggio a chi è sottoposto al ricatto mafioso nella nostra provincia, per far comprendere che la denuncia è sempre la cosa più giusta. Lui ha scritto una bellissima lettera inviata a tutti quelli che lo hanno aiutato, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella in giù. Per dire grazie a tutti.
«Sono milazzese d’origine – racconta Salamone -, e dall’età di 8 anni ho svolto l’attività di pescatore assieme a mio padre e ai miei fratelli. Nel 2002, stante le difficoltà nel settore della pesca nonché la stanchezza fisica data da una vita di sacrifici, io e la mia famiglia abbiamo deciso di investire nel settore del turismo. Così abbiamo costituito la società “Navisal Srl”, ed impegnando tutti i nostri risparmi e ottenendo un mutuo abbiamo progettato e acquistato la motonave “Eolo d’Oro”. Questa iniziativa ci ha permesso di mandare avanti non soltanto tutte le famiglie di noi fratelli, ma anche di dar lavoro a tante altre persone che come noi hanno deciso di lavorare dall’alba a notte fonda in questo nuovo settore del turismo, facendo la spola tra Milazzo e le Isole Eolie, organizzando varie gite turistiche».
Torniamo indietro, alla notte dell’incendio…
«Il nostro progetto andava avanti sia pur tra mille fatiche, fino a quella famosa notte del dicembre 2014, che diede inizio a un incubo. La motonave fu integralmente demolita da un vile attentato incendiario, utilizzarono ben 200 litri di benzina, così come ha rivelato un collaboratore di giustizia, e andarono in fumo tutte le fatiche e i risparmi di una vita e il lavoro di oramai dieci famiglie. Ricordo ancora oggi le colonne di fuoco, impetuose come la paura e la disperazione che si leggeva nei nostri occhi».
Dopo che successe?
«Sin da subito manifestammo i nostri sospetti alle forze dell’ordine che arrivarono sul luogo dell’incendio per i primi accertamenti, sospetti che furono poi confermati dagli sviluppi giudiziari. L’attentato era infatti figlio di logiche estorsive provenienti dal clan del luogo, a cui avevamo scelto di non piegarci».
E sul fronte degli aiuti concreti chi intervenne?
«Nel frattempo, supportato dal mio legale di fiducia, ebbi modo di conoscere Francesco Arcadi, presidente della locale associazione antiracket, e subito dopo anche il suo presidente nazionale Giuseppe Scandurra. Grazie a loro io e la mia famiglia abbiamo potuto ritrovare la speranza, quella che ci ha fatto credere che avremmo potuto vincere contro questo vile sistema, che l’onestà e il duro lavoro hanno sempre la meglio rispetto al resto. Basta crederci. Supportati da loro abbiamo avuto il coraggio e soprattutto la forza di reagire, rialzandoci per ricostruire la nostra azienda ripartendo dalle ceneri della nave oramai distrutta. E così, credendo nello Stato e fiduciosi nella legislazione che tutela le imprese colpite da queste gesta vili, abbiamo fatto fronte, indebitandoci, all’acquisto di una nuova nave, cercando di ripartire senza perderci d’animo».
Andiamo all’oggi, come si sente?
«Beh, oggi che il nostro sacrificio ha avuto risposta con un significativo gesto da parte dello Stato, mi sento in dovere di riconoscere il giusto merito a tutti coloro i quali ci hanno dato fiducia, invitandoci a non perdere mai la speranza, e soprattutto di gridare a gran voce quanto sia utile e giusta la Legge n.44 del 1999, norma emanata a tutela e favore delle imprese vittime di estorsione e usura. Mi sento in dovere di ringraziare a gran voce i carabinieri e il prefetto di Messina Maria Carmela Librizzi che sin da subito ci hanno supportato, facendoci sentire forte la presenza dello Stato insieme a un supporto morale, che ci ha aiutato a non arrenderci agli eventi devastanti che ci hanno colpito. Non dimenticherò mai la grande emozione provata nel 2016 durante la mia testimonianza alla riunione delle associazioni antiracket nazionali, tenutasi alla base della Marina Militare nella zona falcata di Messina, davanti al comandante dei carabinieri Tullio Del Sette, e ai massimi vertici istituzionali nazionali. Dopo aver raccontato con grande emozione la mia storia, con le lacrime agli occhi mi sono stretto in un abbraccio forte con il comandante provinciale dei carabinieri di Messina, il colonnello Mannucci Benincasa, e con il comandante della Compagnia di Milazzo, il capitano Ruotolo, e con il sempre presente, ormai considerato da me un fratello, Pippo Scandurra. È lì che ho sentito che oramai la mia famiglia si era allargata ai carabinieri e alla “Rete per la Legalità” antiracket. Ma soprattutto, non ultimo, mi sento di dare il giusto e grande riconoscimento allo Stato per aver dimostrato di esserci sempre, per dare risposte cosi significative a noi cittadini onesti e lavoratori. Oggi la mia motonave, in aggiunta al suo nome nei registri navali, che è “Sweet Harmony”, sarà per tutti la nave della “Rete per la Legalità S.O.S. Impresa”.
La cronaca di questi mesi ci dice che per quell’incendio anche sul piano penale lo Stato ha fatto la sua parte. A settembre in appello sono state definite le condanne per i tre giovani barcellonesi, già coinvolti nelle operazioni antimafia “Gotha V bis e ter”, che sono stati riconosciuti colpevoli del rogo: il 28enne Marco Chiofalo ha avuto un anno e 9 mesi per il “patteggiamento concordato” e i benefici della “continuazione” con le altre condanne subite; pene leggermente inferiori, ad un anno e 6 mesi di reclusione ciascuno, hanno subito i due complici di Chiofalo, ovvero il 27enne Santino Benvenga e il 30enne Salvatore Chiofalo.