Nebrodi, ancora arresti per associazione mafiosa ed estorsione. Nell’inchiesta Alastra coinvolto anche l’imprenditore Michelangelo Mammana, di nuovi vittima del pizzo. La vicenda raccontata da NebrodiNews nell’articolo che riportiamo di seguito.
Ancora una volta, dopo l’ultimo grande filone d’inchiesta sulla mafia madonita avviato nel 2016 che ha mandato alla sbarra 54 imputati e l’operazione Nebrodi. che lo scorso 15 gennaio ha portato all’arresto di 94 persone accusate di truffa ai danni dell’Ue, in un’altra inchiesta, “Alastra” portata a termine stamattina dai Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo con il fermo di indiziato di delitto nei confronti di 11 persone ritenute a vario titolo responsabili di associazione mafiosa, estorsione, trasferimento fraudolento di beni, corruzione, atti persecutori, furto aggravato e danneggiamento, nell’ordinanza dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo spunta il nome di Michelangelo Mammana, l’imprenditore di Castel di Lucio vittima, questa volta, di estorsioni da parte di alcuni esponenti della <strong>famiglia mafiosa di San Mauro Castelverde.
E’ utile precisare che nell’ambito delle indagini del procedimento n. 4132/11 Rgnr (c.d. indagine Black Cat) curate dalla Compagnia CC di Termini Imerese era già emerso che nel 2013 l’imprenditore Mammana, era stato oggetto di “attenzioni estorsive” da parte dei responsabili del mandamento di S. Mauro, diretti da allora da Francesco Bonomo. Come, lo stesso imprenditore, è risultato vittima designata di propositi estorsivi, da parte di alcuni esponenti della famiglia mafiosa di Polizzi Generosa, come risulta negli atti dell’inchiesta dei magistrati peloritani che ha di fatto decapitato i clan dei Batanesi e dei Bontempo Scavo di Tortorici.
Nel decreto di fermo di indiziati di delitto, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo in collaborazione con la Direzione Distrettuale Antimafia, si legge che le indagini del procedimento hanno questa volta consentito di monitorare, in diretta, la fase esecutiva di due distinte estorsioni, di cui la prima già in parte perfezionata, ai danni dell’imprenditore Michelangelo Mammana, con riguardo alla quale sono sorti alcuni contrasti in merito al pagamento dell’ultima tranche di 5000 euro ed alla destinazione del denaro alla cassa della cosca.
Più precisamente, le carte delle indagini seguite dal pool di magistrati coordinati dal Procuratore Aggiunto Salvatore De Luca, raccontano che la richiesta estorsiva era stata inoltrata da Alberti Antonio per conto del mandamento di San Mauro e che il denaro, 20 mila euro in contanti, corrisposto dalla vittima, era stato invece ricevuto dall’imprenditore caseario Pietro Ippolito, che aveva taciuto l’incasso ai Farinella trattenendo piuttosto il denaro per sé.
Dalle indagini si evince chiaramente che l’Ippolito, dopo essere stato aspramente rimproverato dal duo Scialabba- Farinella, ha dovuto ammettere che il denaro doveva essere restituito ai vertici della famiglia di San Mauro. Inoltre è riportato nell’ordinanza nei frangenti monitorati l’imprenditore Mammana ha effettuato un ultimo pagamento pari a 5000 euro, soddisfacendo così per intero la pretesa estorsiva.
“Il monitoraggio di Scialabba Giuseppe ha consentito di evidenziare e valorizzare i suoi contatti con Alberti Antonio, allevatore originario di Castel di Lucio – si legge nel decreto di fermo. I due, senza mai menzionarne il motivo e utilizzando modalità comunicative palesemente criptiche, hanno sovente fissato appuntamenti presso l’abitazione rurale dell’ Alberti o nel centro messinese. Il tenore riservato delle telefonate e dei loro appuntamenti emergeva con tutta chiarezza nella conversazioni censite a partire dal 13 marzo 2018, data in cui Alberti contattava Scialabba per informarlo che non era ancora andato a controllare come fossero le “provole”, uno scambio di informazioni apparentemente legato al rispettivo ambito lavorativo di entrambi.
La successione cronologica egli avvenimenti e dei riscontri effettuati – scrivono i magistrati – consentiva di acclarare che il riferimento alle “provole” (termine utilizzato in più telefonate) costituiva un espediente per organizzare appuntamenti finalizzati, piuttosto, a discutere delle estorsioni ai danni dell’imprenditore Mammana. Dalla lettura della trascrizione emerge con evidenza la connotazione mafiosa di tale colloquio e la perfetta consapevolezza di tutti i presenti – compreso l’Alberti – di interloquire al fine di perfezionare condotte estorsive di pertinenza del mandamento di S. Mauro. Come si vedrà, a margine delle condotte in esame, sono state registrate le grida di allarme della moglie dell’Alberti, la quale, avendo capito che il marito stava intrattenendo rapporti di natura illecita, lo tempestava di messaggi e telefonate per indurlo a non frequentare ambienti mafiosi”.