Il 29 agosto 1991 l’imprenditore Libero Grassi, alle 7.30 del mattino, fu assassinato dalla mafia per aver detto un No chiaro e deciso al ‘pizzo’ e al racket delle estorsioni.
“Non pago perché sarebbe una rinunzia alla mia dignità di imprenditore”, così Libero Grassi l’11 aprile 1991 in un’intervista televisiva a Michele Santoro. Tre mesi prima, il 10 gennaio, scrisse una lettera al “Caro estortore”, pubblicata in prima pagina dal Giornale di Sicilia, chiedendogli “di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia”.
Per noi di Sos Impresa quel 10 gennaio 1991 segna l’ inizio della storia del movimento antiracket.
A differenza di tanti altri imprenditori che subivano in silenzio il ricatto mafioso, lui si era ribellato e aveva gridato forte la sua indignazione: No! Non pago e non starò zitto come fanno tanti altri: io voglio parlare….
Questa forza, questa determinazione e questo linguaggio chiaro, assolutamente inedito in quegli anni, segnano un cambio di passo, parole impronunciabili diventano oggetto di dibattito pubblico “il pizzo esiste”, esiste cosa nostra e le sue tasse, esistono territori dove il controllo non è dello Stato, ma delle mafie.
Libero rompe le catene del silenzio, trasformando quello che fino a quel momento era vissuto come un problema personale in una questione pubblica. Il pagamento del pizzo riguardava innanzitutto il mondo imprenditoriale, ma anche l’intera comunità ne pagava il conto. Era in gioco la libertà di fare impresa e con essa la libertà stessa.
In questo senso la denuncia di Libero fu una grande fatto “politico”, con cui volenti o nolenti, la politica, la magistratura, il mondo imprenditoriale, l’opinione pubblica ha dovuto fare i conti, conti che per verità, in gran parte sono ancora aperti.
Ecco perchè da tempo sosteniamo che quella data segna una demarcazione: un “prima” e un “dopo” E’ da lì che bisogna partire per ripensare ad un movimento antiracket più forte, più unito, più credibile. Capace di interpretare al meglio le esigenze degli operatori economici che si confrontano oggi con una “mafia imprenditrice”, capace di tessere collusioni partecipative con pezzi della politica, delle Istituzioni, del mondo delle professioni e della imprenditoria. Di apparire attrattiva per tanti commercianti, artigiani, operatori economici che pagano i costi delle tanti crisi che hanno segnato l’ultimo decennio e si fanno prestanomi e teste di legno, illudendosi di trovare nell’economia mafiosa una risposta al collasso economico e finanziario.
Ma Libero ci ha insegnato che dobbiamo usare anche un linguaggio nuovo, come seppe usarlo lui, fuori da luoghi comuni ed auto assoluzioni e da quell’ “antieroe” che era, esercitare l’umiltà della condivisione, della ricerca, del dubbio.
Per questo il 10 gennaio non appartiene solo allo storia di Libero. Ed è per questo che sosteniamo, come SoS Impresa Rete per la Legalità, che quella data diventi la Giornata Nazionale della Lotta al racket e all’Usura. E lavoriamo perché Governo e Parlamento facciano propria, finalmente, questa proposta.
È con grande rispetto che ricordiamo il 29 agosto, il sacrificio di Libero, e l’ostinata determinazione di Pina e dei figli di Grassi, perchè nessuno dimentichi. Ma guardiamo al 10 gennaio come l’inizio di una nuova speranza quella della liberazione da tutte le mafie.
Lino Busà